mercoledì 7 marzo 2012

La cicogna ingannevole


Succede così, che torni splendida dal viaggio di nozze seychellese e, ripresi i ritmi frenetici della tua vita, una volta nella vasca da bagno ti fermi a osservare un particolare inaspettato: i tuoi capezzoli, grandi ed evidenti come non li avevi mai visti. E chiami il tuo neomarito “no, ma che figurati, sarà solo suggestione, non può essere”, gli occhi brillanti di malcelata speranza.

È invece si, poteva essere. E invece si, è stato. È stato.

Te lo confermano le due lineette di una nitidezza che difficilmente potrai dimenticare, quel sabato mattina che hai un ritardo di 12 ore ma non stai più nella pelle e la speranza non fai neanche più finta di celarla.
Lui esulta letteralmente, ti fa venire in mente quella sera del vostro primo bacio, che salterellando sul marciapiede, tornando a casa, continuava a ripetere “lo so che non è il modo migliore di conquistare una donna, ma sono troppo felice”, e tu lo osservavi un po’ guardinga, chiusa nel tuo incancrenito cinismo.
Che adesso, anche dopo aver conosciuto amato e sposato la sua solarità, proprio adesso ti torna tutto su. Quando ti piombano addosso la serie di incombenze e responsabilità a cui stupidamente vorresti far fronte tutte in una volta, il che le rende ancora più intollerabili, persino a lui che ha smesso di saltare e ora ti stringe in un abbraccio rigido.

Poi ti arrabbi, quando scopri che ancora i tuoi non hanno preso nessuna decisione a proposito della casa di famiglia da dividere e tu nei tuoi 40 mq fai fatica anche a posizionare una culla (l’unica cosa che ti consola è che finalmente butterete via quell’orribile tubo catodico che campeggia inutilizzato da anni in camera da letto), ti arrabbi quando scopri che il tuo ginecologo storico non ha il macchinario per fare l’ecografia e non te ne sei mai accorta, avresti potuto premunirti invece di stare qui ora a cercare di prenotare presso il SSN non prima della 9a – che non si vede niente – ma nemmeno dopo la 10ma – che se ci fossero dei problemi saresti orribilmente in ritardo – , e questo dopo una visita inutile da dove sei uscita alleggerita di 100 euro e rincuorata dalla diagnosi di un utero ben chiuso (!) e da una dieta a base di prosciutto da porsi nel congelatore prima di essere consumato, ti arrabbi perché quando l’hai detto alle tue migliori amiche, col sorriso sulle labbra nonostante le preoccupazioni e nonostante le otto rampe di scale che non avresti voluto affrontare e che hai affrontato per vederle, c’è la solita che, non soddisfatta della sua vita, invidia la tua e tiene gli occhi bassi mentre fa finta di abbracciarti. Ti senti pure giustificata a lamentarti e a sbraitare. Ormai sei mamma e ci hai un sacco di preoccupazioni , che quegli esseri dediti alla vita effimera che ti circondando non possono certo capire. Ti arrabbi più del solito quando il procrastinare e la noncuranza dei tuoi colleghi ti costringe a fare le nove di sera in ufficio per scrivere una relazione e ti fa correre come una trottola dalle otto della mattina successiva, però in quel caso lì non gridi, abbassi la testa, fai le nove sul pc e riparti alle sette e mezza il giorno successivo. Corri quando devi correre e non vai neanche a fare la pipì. Al primo momento di tranquillità corri a svuotare la vescica che, lei si, grida pietà da diverse ore. Mentre ti liberi avresti voglia di trovare anche il modo di sfogare un po’ di quella rabbia, preoccupazioni, ansie. Quello che ancora non sai è che invece stanno per svanire, scivolando via come il sangue che da li a pochi istanti vedrai sulle mutandine. Che ti porta via qualcosa che, se c’era, non hai ancora potuto vedere, maledetto SSN, o forse no, forse è stato meglio così. Ma mentre quel sangue scende con fatica dato il tuo utero ben chiuso, e ti ritrovi attonita in un letto d’ospedale, tutte le negatività sembrano esplodere da ogni tuo poro e ti brucia tutto come le ferite quando si disinfettano, comprese l’attenzione mancata della tua famiglia, il sorriso mancato della tua amica frustrata, quell’ecografia mancata, il tuo coraggio mancato di dire no al superlavoro. Ma quel che brucia di più, ed è la sola ferita che non si è più rimarginata, è la consapevolezza di non essere stata in grado di godere almeno per un secondo dell’attimo di realizzazione di un desiderio desiderato da tanto tempo.

L’unica cosa che avrebbe potuto dare un senso a quel dolore, a quella vita mai nata.

A braccetto con il tuo equilibrio ormonale rientra a passo di tip tap anche il tuo think positive.
In viaggio di nozze, con l’infrangersi delle onde dell’Oceano Indiano in sottofondo, era semplice immaginare la tua pancia fruttificata dal suo seme. Eppure qualcosa era andato storto comunque, sarà stato il condizionatore che sovrastava il rumore del mare.

Voglio superare questa brutta faccenda e andare oltre con ottimismo e determinazione, non mi importa della casa piccola, di chi non ci aiuta, di chi non mi fa un sorriso, del superlavoro.

E quando ricapita, e ricapita subito, decido che voglio godermi solo quell’attimo di estasi. Decido di non andare oltre e oltre, per una sola volta nella vita, forse l’unica nella quale vale davvero la pena di stare lì, ferma immobile dove sono.

Non mi arrabbio, non mi preoccupo, non diffondo la notizia, prendo un giorno di ferie dal lavoro solo per fare un’ecografia. Stavolta non mi fregano e alla quarta settimana già mi faccio sondare. Qualcosa c’è, troppo piccolo per vederlo, ma abbastanza grande per immaginarlo.
E dopo averla tanto immaginata, avendo negli occhi quei buchi neri di fotografie che mi hanno scattato in ospedale due mesi fa, cerco di scrutare nello schermo una qualche forma di vita. Che non si trova però, perché di nuovo di un “buco nero” si tratta. E, di nuovo, se lo porterà via il sangue.

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