lunedì 25 ottobre 2010

Aspettando di essere mamma: ho viaggiato. Siria e Giordania


Il Medio Oriente. Mi affascinava da molto. Ero già stata in Turchia, evitando però le troppo calde zone ad est. Calde in senso politico, perché le temperature estreme di agosto non me le sono comunque mai risparmiate.
Qui però ho toccato confini mai raggiunti. In ogni senso.

In Siria non si ci capacitava delle temperature percepite. Finché una sera intorno alle dieci un termometro ci ha comunicato che l’incubo che da giorni stavamo vivendo erano 39 gradi, e un passante, trovandoci folgorati su quella via di Damasco, ha voluto farci presente che ci trovavamo nel bel mezzo dell’ estate siriana più calda dell’ultimo ventennio: durante il giorno si toccavano solitamente i 48 gradi.
Ah, ecco cos’era che mi sfibrava le membra e mi annebbiava il cervello. Ecco a cosa devo dare la colpa adesso che, quando mi chiedono di raccontare, delle volte mi pare di non essere nemmeno stata li.

In Giodania l’unico luogo in cui non abbiamo patito l’eccessiva calura è stata la oltre che fresca splendida Petra, che si trova in montagna. E meno male, dato quanto abbiamo camminato.

In compenso ad Aqaba, 12 km dall’Arabia Saudita, pareva di stare costantemente, in ogni momento della giornata, di fronte a un gigantesco phon; la sera l’unica cosa che mancava era il sole, ma la temperatura rimaneva invariata. Nei cantieri gli operai lavoravano di notte (compreso quello della moschea che era in costruzione proprio di fronte al nostro albergo, per evitare i colpi di calore, dato anche che il mese di Ramadan, durante il quale i musulmani non possono né bere né mangiare dal sorgere al calare del sole, cadeva quest'anno proprio in agosto.

Nel Mar Morto poi, mi sono resa conto di quanto sia difficile rimanere vivi! Le temperature sono indescrivibili, dentro e fuori dall’acqua.

In Siria ci è capitato di vedere la gente arrabbiata e imbruttita dalla situazione politica. E ci è capitato di non poter parlare di politica, pur morendo dalla voglia di sentire l'opinione della gente nei confronti del dittatore la cui figura è affissa a dimensione naturale sui palazzi pubblici, stampata sulle insegne dei negozi, scolpita nei muri, e addirittura troneggia su quadri nelle abitazioni private o su poster che scuriscono i vetri delle auto.
Quel dittatore non sarebbe poi sulla carta un dittatore, perché è stato eletto dal suo popolo. Dal 97% del suo popolo. Peccato però che fosse unico candidato. Peccato che suo padre, da cui ha ereditato il potere e il tipoco baffetto mediorentale, abbia bombardato nel 1985 un’intera città siriana, uccidendo 20.000 civili, per colpire un gruppetto di dissidenti che lì si era insediato. Eh si, sono mondi in cui va così.

In Giodania, Aqaba (meravigliosa località sul Mar Rosso) era praticamente deserta, perché giusto due settimane prima qualche missile era giunto in visita dalle coste di fronte, finendo in mare, sulla spiaggia, oppure nel parcheggio di un albergo di lusso appena costruito, dal quale i turisti si sono affrettati a cancellare le prenotazioni.


Siamo arrivati a Damasco alle sette di mattina, e già alle otto non potevamo più camminare per cercare un albergo. Soffocante. Estenuante.

Siamo in centro. Chiediamo informazioni a una famiglia che approfitta dell’alba per godersi un po’ di fresco. Accostandoci ci rendiamo conto che sono padre madre e figlia seduti su una panchina sistemata strategicamente di fronte a un muro. Ci chiediamo perché, rassegnandoci prima ancora di iniziare a pensarci veramente. Sappiamo benissimo che ogni Paese lascia delle domande a cui non si hanno elementi per rispondere.

Quando mi giro però osservo l’ambiente in cui è inserita quella panchina e mi faccio un’idea rispetto alla domanda di poco prima. Che la posizione vista-muro sia strategica?

La gente dorme sulle aiuole - tra rifiuti sparsi ovunque - presumibilmente da tutta la notte data l’ora mattutina. In diversi momenti della giornata, comunque, questo piccolo pezzo di erba in mezzo al cemento, allo smog, a rumori e calori insopportabili e soprattutto all’immondizia, viene vissuto con grande partecipazione, per colazioni, merende, pic-nic, pennichelle.

Il cemento che circonda il parco non è un gran bel cemento, comunque.
Le case sono tutte incompiute. Se il piano terra è abitato, il secondo è uno scheletro da cui spuntano addirittura le anime di metallo delle fondamenta, lasciate sempre a emergere sopra i palazzi. A volte interi edifici sono ridotti così. E la cosa buffa è che non ci lavora mai nessuno, non esistono cantieri. Questa situazione urbanistica rende l’atmosfera ancora più caotica e disordinata. Sembra una città bombardata e mai ricostruita. Damasco è la città più vecchia del mondo, dicono. E io rispondo che, se veramente è così vecchia, dimostra decisamente la sua età.
Più o meno questo è l’effetto che si prova in ogni città siriana. Paradossalmente l’unica che è stata veramente bombardata (nell’85, vedi sopra) è quella che è stata ricostruita meglio, e sembra quasi avere una logica.

In Siria vedo le donne per strada e provo pena per loro. E’ probabile che loro ne provino per me, che sono costretta a vestirmi da Sbirulino (ma quale donna ha nell’armadio t-shits e camicie comode e pantaloni lunghi ma leggeri? L’abbigliamento da viaggio nei Paesi arabi è decisamente di fortuna). Pur vergognandomene mi sento più fortunata di loro, nei miei vestiti comprati al mercato per due euro. In particolare, quando sono costretta a indossare un abito simile ai loro e a dover coprire il capo con la mia pashmina per visitare la Moschea degli Omayyadi, non mio godo affatto la bellezza del luogo, non vedo l'ora di togliermi quella roba di dosso, mi manca il respiro. E capisco che a 50 gradi all’ombra potersi permettere una maglietta a maniche corte è un lusso a priori.


Le donne quaggiù hanno a disposizione un sacco di possibilità, ma nulla che crei meno di 80 gradi tra la pelle e i vestiti.
Rispetto alle classiche e ormai superate palandrane all-black che effettivamente non sono tanto giovanili, qui possono scegliere tra cappottini lunghezza caviglia di vari modelli e fogge, negli allegri toni dal marrone al nero. Abbottonati fino al collo, attorno al quale passa anche un fazzoletto che copre quantomeno tutto l’ovale del viso, se non molto altro.
Sotto questi cappottini, che sono di cotone, si, ma non mi sembrano proprio di tessuto impalpabile, le poverine sono ovviamente del tutto vestite, con pantaloni e maglie lunghe.
Quelle che a vederle ti fanno star peggio indossando la mantellona integrale che copre anche il viso, lascia scoperta solo gli occhi, e portano anche gli occhiali da vista!


Ci sono però poi anche ragazze giovani che vestono jeans attillati e dei bellissimi fazzoletti colorati che fasciano i visi splendidi e splendidamente truccati e i lunghi capelli raccolti.

Ho chiesto a una ragazza che gestisce un albergo di Aleppo da cosa dipendessero queste discrepanze, se la donna possa decidere per sé o se invece sia completamente asservita al volere di chi la controlla, padre o marito che sia. Lei risponde che dipende da quanto è praticante la famiglia della donna. E si affretta a concludere: “I’m Chiristian, Thanks God, Thanks God”.


A proposito di religione. Immagini, Piccole Grandi Lezioni di Tolleranza

Seduti nel bar di una stazione degli autobus di Damasco, alla ricerca di un riparo dalla calura che ci assilla, abbiamo di fronte due ore di attesa.
Un uomo ci si avvicina incuriosito. Gli manca una gamba e tutti i denti. Cammina con una stampella di legno di quelle che si vedono solo nei fumetti.
Ci chiede di dove siamo, parlando un po’ d’inglese. Welcome Welcome, dice come d’uso. Poi “You look like Phristo” dice, con le lettere che sbattono tra le gengive e la lingua, a Lui indicandogli il viso barbuto. “I’m Cristo here, but I’m Budda here”, ribatte Lui schiaffeggiandosi sonoramente la mano sulla panza! Ridiamo tutti e tre di gusto, con la felicità negli occhi.



Siamo nella piccola cittadina di Palmira, in Siria. Il villaggio sorge in mezzo al nulla del deserto, almeno tre ore di viaggio dalla prima grande città. Vive, ed è nato, sul turismo, accanto all'omonima vecchia città romana. Eppure gli abitanti guardano noi occidentali con sorprendente curiosità. Ci chiedono qualsiasi cosa non sia per la loro cultura troppo invadente, cercando di scoprire elementi della nostra vita, a volte forse anche per sognarci un po’ su.
Ci chiedono dove viviamo, che lavoro facciamo, se siamo sposati. Se non capiscono la risposta, non concependo che possiamo essere “fidanzati” a 30 anni suonati, noi gli diciamo che si, siamo sposati. In fondo per noi è praticamente lo stesso. E allora "where is the ring?" Ehm...la fede? L’abbiamo lasciata a casa, rispondiamo.
Dulcis in fundo, vogliono sapere se siamo cristiani. Noi: certo, si, siamo cattolici.
“Welcome Welcome, for us it’s the same”, sorridono. E ci invitano a sederci con loro, sugli scalini di fronte a un casa, o sulle sedie posizionate sul marciapiede, come nei paesini del sud Italia.