giovedì 29 luglio 2010

The Final Countdown, ovvero clamorose vendette

Oggi il collega A. ha creato la mirabile evoluzione del file Excel che calcola i giorni mancanti alle ferie. Questo calcola i minuti. “Per la precisione – mi ha scritto girandomelo via mail – Dopotutto sono un ingegnere, uno preciso, nonostante l'intollerabile confusione che ci circonda in quest'azienda”. E per la precisione, appunto, domani alle otto e trenta mancheranno 480 minuti lavorativi all'inizio delle tanto agognate vacanze. Se tutto va bene. Ma non sono ottimista. Credo me ne occorreranno almeno 60, per non dire 120, supplementari, per tentare di finire tutto quello che ho da fare (Minuti pagati? Non pagati? E se pagati, come? In Busta? In bustarelle? Buoni Benzina? Miglia Alitalia? Uova di Paqua? Ingressi al Billionare? Non è dato sapere).

Attualmente in azienda sto facendo due lavori. Cioè oltre al mio, il solito, mi è stata affidata una seconda mansione. Una che un'impiegata, normalmente, necessiterebbe otto ore al giorno per svolgere e che invece io dovrei eseguire in quattro, con diecimila cose buttate in mezzo nel frattempo.

Sono indecisa su se The Boss mi abbia presa per Wonder Woman o per il rag. Fantozzi. Il risultato comunque è lo stesso, e non mi piace. A causa dell'intollerabile confusione di cui parlava il collega A. ideatore del file countdown, mi ritrovo ad essere uno straccio alla vigilia del viaggione che mi aspetta.

Il tutto, sintetizzando veramente parecchio, nasce dall'esigenza di sostituire la maternità di una collega.

Mi viene un dubbio atroce. Che non siano solo il desiderio materno e la voglia di intimità con Lui a spingermi a progettare, a partire dal 481mo minuto (o poco dopo, nel caso si andasse ai supplementari), di fare freneticamente la Cosa Principale da fare quando si vuole diventare mamme. Sto tramando inconsciamente clamorose vendette.



giovedì 15 luglio 2010


Ceti sociali


“Sai l’amica G.? quella sposata con l’amico V.? sta per avere il secondo.”

“Di già?

“Eh, abbiamo cercato di spiegarglielo, a V., che oggigiorno esistono validi metodi contraccettivi, dato che pare che i genitori non siano stati troppo esaustivi.”

“Eheh. Bé, insomma, adesso diventa impegnativo.”

“Mah, lei lavora part time e ha un esercito schierato per guardarle la bambina. Tata, puericultrice, Minnie, Topolino, Qui Quo Qua, Superpippo …”

“La puericultrice?? La tata più la puericultrice? Senza contare gatti cani topi e paperi”.

“E sai invece l’amica B.? Ha partorito da tre settimane ed è già tornata a lavorare. Lei l’aveva detto che avrebbe fatto una maternità di 15 giorni. Certo che quando hai la tata diurna e la tata notturna tutto diventa più semplice”.

“Ah, in casa di B. niente puericultrice?!.”

Quando Babywish ascolta questo genere di storie cerca di darsi un tono ma sente inadeguata.

Lei sa che probabilmente, dopo una maternità di 15 giorni contati pur non essendo libera professionista, sarà una di quelle mamme che vedono il meraviglioso frutto del loro seno solo nelle ore più infami, quelle in cui perlopiù sa farsi odiare, e istiga allo scaraventamento giù dalla finestra. Le tristemente famigerate ore notturne.

Sa che probabilmente si troverà a una quindicina di km dall’amore della sua vita, immersa tra plichi di fatture da fotocopiare, mentre lui pronuncerà per la prima volta, incerto e stupefatto di sé stesso, “pa-pà” (non sa bene motivarlo, ma ha come la sensazione che al pupo non uscirà di dire “ma-mma”, in quel momento); la stessa distanza li dividerà – stavolta lei sarà al telefono a cercare di interpretare l’incomprensibile inglese di un filippino - quando il suo cucciolotto sarà intento ad alzarsi sulle cicciosissime gambette per muovere i primi timorosi e scoordinati passetti. Mentre lui cadrà sul sedere imbottito, lei chiuderà la telefonata col filippino, e forse un brivido le percorrerà la schiena.

Sa che non assumerà tate notturne per non odiarlo né puericultrici diurne per insegnargli il bon-ton, e probabilmente neanche una baby sitter improvvisata per andarlo a prendere al nido. Sa che la luce dei suoi occhi sarà sballottata per mano dell’intrepido papà – lei probabilmente non avrà neanche quest'onore – fra una nonna che non ha la macchina e un nonno che ancora lavora, fra una nonna che la settimana dopo non può perché va in crociera a un nonno burbero che proprio se c’è bisogno se no ve lo potete tenere. Forse anche una zia che frequenta l’Università si offrirà di badare al piccolo, per solidarietà nei confronti di due poveri genitori che non possono permettersi tate, baby sitter, badanti né tantomeno puericultrici.


Comunicazione di gravidanza, ovvero come rassicurare il capo





Società PincoPallo
Via Ogni Speranza
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L’isola che – purtroppo - c’è.
C.a. The Boss



Egregio The Boss,

Le scrive Babywish, la sua affezionata dipendente a termine. Sono consapevole della sua scarsa familiarità con l’inglese, ma se solo potesse intuire dal nome che porto la ragione di questa mia, mi renderebbe le cose molto più semplici, oltre a poter risparmiare il Suo cronometrato, preziosissimo, tempo.

So benissimo che siamo sotto organico, e so quanta fatica Le costa concedermi anche solo un’ora di permesso chiesta con otto mesi di anticipo. Nonostante ciò, devo comunicarLe che prima o poi dovrà fare a meno di me per qualche giorno.

Se quando questo succederà Lei avrà ancora il coltello dalla parte del manico per decidere di me, del mio futuro, della mia neonata famiglia, voglio sperare che si metterà gentilmente una mano sul cuore e una sulla coscienza, e si ricorderà di essere uomo e pater familias prima che The Boss. Ruolo che peraltro, naturalmente, Le riconosco appieno.

Pertanto la voglio rassicurare sin d’ora, con estremo anticipo, del fatto che io sarò sempre la stessa ammirevole, irreprensibile e instancabile collaboratrice, e che nulla muterà nel nostro rapporto di lavoro.
Mi sento in dovere di rassicurarla sul fatto che lavorerò fino a quando il ginecologo non mi bloccherà al letto con le catene, e se questo non succederà aspetterò che mi si rompano le acque facendo appostare un’ambulanza in Via Ogni Speranza, nell’Isola che – purtroppo – c’è, così da essere pronta a correre in ospedale senza perdere neanche un prezioso minuto di attività lavorativa. Se avrò una telefonata in corso Le assicuro che la concluderò con la massima cordialità prima di avviarmi verso l’ospedale. Le chiedo solo la cortesia di ricordare al signore delle pulizie di tenersi pronto ad asciugare sotto la mia scrivania, perché magari nella fretta del momento di quello potrei dimenticarmi.

Le comunico che quando il bimbo sarà nato, intendo farlo crescere precocemente. La felicità di una creatura merita di essere sacrificata per un fine più alto, costruire insieme a Lei il nostro roseo futuro di lavoro, Egregio The Boss. Mio figlio non prenderà certo il latte dalla mia tetta ogni due ore; casa mia diventerà una succursale della Nestlè e mio marito sarà un orgoglioso Mammo improvvisato. Per rendergli la vita più semplice, tuttavia, cercherò di far fruttare al meglio le poche ore da mamma che l’ambito lavoro presso Sua onoratissima Azienda mi lascerà, insegnando al mio bambino a fare la pipì e la cacca da solo sul vasino sin dai primi mesi di vita.
A un anno mio figlio avrà già le chiavi di casa, e a due si troverà un impiego redditizio. Prima ancora che il mio contratto di lavoro presso la Sua Spettabile Società scada, Egregio The Boss, mio figlio sarà forse già in grado di mantenermi, togliendo Lei da qualsivoglia imbarazzo.

Desidero inoltre prometterLe che, quando il mio bambino andrà all’asilo nido, se una qualche maestra molesta e inopportuna mi chiamerà avanzando la pretesa che io vada a riprendere il pupo affetto da febbre asiatica, fingerò un guasto alla linea telefonica facendo rumori con la bocca. Poi spegnerò il telefono fino alle ore 18.00, quando andrò di persona a verificare che il piccolo sia sopravvissuto, e se sia ancora all’asilo o se invece – dato che l’asilo chiude alle ore 16.00 e non alle 19.00 – la suddetta disturbatrice non abbia per caso depositato il corpicino febbricitante presso il convento delle Suore Orsoline e una denuncia per abbandono di minore a mio carico presso il primo posto di polizia.

Nel ringraziarLa sentitamente della Sua sempre gentilissima e apprezzata collaborazione, colgo l’occasione per porgere i miei più cordiali saluti.
In fede,


Babywish

Desiderare, in un mondo difficile

Un desiderio molto forte. E non sa dove metterlo, come sistemarlo. È disordinato e ingombrante. Ma dolcissimo e inebriante. Un desiderio desideratissimo. Lei se lo sogna la notte e ne parla quasi tutti i giorni al malcapitato di turno, alle amiche che ci sono già passate, con le quali si sente chissà con che diritto libera di scatenare tutta la sua ansia repressa (A te come è andata? Ma quanto fa male da uno a mille milioni di trilioni?? Ma poi come si fa a conciliare tutto? Ma come fai? Ma a te qualcuno ti aiuta!!?) e a quelle che invece, non si spiega come, manco se lo sognano, e farebbero volentieri a meno di certi discorsi, con i quali imperterrita le assilla; a sua madre (Ma tu cosa ne pensi? Sono un’incosciente se lo faccio? Posso contare su di te?); addirittura al cane (Ma quanto vi vorrete bene, e quanto andrete d’accordo? Ti farà qualche dispetto ma so che sarai una brava cagnolona e me lo tratterai coi guanti). E poi naturalmente al suo Lui. A dire il vero con Lui se lo sognano anche di giorno. È nelle loro infinite chiacchierate sul letto disfatto, o sul divano scomodo, o nella vasca da bagno troppo corta che si ostinano a condividere. È nelle loro battute più stupide sul futuro, nei progetti per l’acquisto di una casa nuova, nelle ipotesi e nelle congetture speranzose (“speriamo che non prenda i capelli del papà – calvo, ndr – o il naso della mamma" che da qualche tempo, chiedetelo alla scienza, se sa dare una ragione, pare stia inesorabilmente lievitando…"speriamo che prenda i capelli della mamma e il naso del papà, e le tette della mamma e non del papà possibilmente"). È nell’organizzazione per quello che potrebbe essere il loro ultimo viaggio all’avventura, vissuto con intima malinconia mista a una frizzante energia che scaturisce dal profondo e che va a finire lì, dove lei lo perde del tutto. Nell’assoluto e infinito ignoto.

Proprio laddove il sogno diventa più realistico, incredibilmente perde di spessore e diventa come rugiada intangibile.

Ma se lei esce di casa alle 8 di mattina e torna, per gentile concessione del fato, alle 7 di sera; se, nonostante questo, guadagna 1000 euro al mese, sempre per gentile concessione; se il suo Lui è impiegato in ennemila lavori ma comunque quello principale oggi c’è-domani forse anche-dopodomani chissà; e se dal canto suo Lei ha un contratto a scadenza né troppo breve né troppo lunga; se tornando a casa alle 7 di sera trova pile da stirare, la casa da rassettare, la cena da cucinare, il corso di spagnolo e quello di yoga da seguire, e alla fine non stira, non rassetta, spesso non cucina, e se proprio c’ha voglia di stendersi sul letto salta pure yoga e spagnolo, e comunque se stira non rassetta e se cucina non va a yoga, e se va a spagnolo non stira, e la tiritera si ripete così all’infinito per tutta la settimana, e menomale che l’esperto nel fare la spesa è Lui perché se no lei entrerebbe in politica solo per farsi aprire un 7 Eleven sotto casa; e se anche volendo – e generalmente non vuole – comunque non avrebbe tempo di fare tutto, prova ne è che si ritrova a scrivere qualche riga a quest’ora improponibile (l'ora di stesura è diversa da quella di pubblicazione -ndr) per una che domani si deve alzare alle 7, e uscire alle 8, appunto! E se anche se volesse scrivere in pausa pranzo non potrebbe, che un’ora non è mai abbastanza per scaldarsi il pranzo, ingurgitarlo, fare due chiacchiere coi colleghi, prendere un caffè con annessa dose di nicotina, socchiudere gli occhi per un millesimo di secondo almeno, nell’infondata speranza di trovare un millesimo di secondo di ristoro, lavarsi i denti e tornare in ufficio. Specie quando quell’ora si dimezza per la minchiata dell’ultimo secondo. Oltretutto lei fa pure un lavoro frenetico. Che aggiunge un altro "se" alla lista.

Gli interrogativi sono un’onda incontrollabile, specie per una mente rimuginante e perversa come quella che malauguratamente alberga nella sua calotta cranica.

Di conseguenza la decisione è non porsi più domande a cui non c’è risposta, non impostare più fantasiose equazioni spazio-temporali che nemmeno Margherita Hack riuscirebbe a risolvere. Ma vivere. E raccontare cosa significa desiderare di essere una mamma, con tutti questi “se”, in questo mondo difficile.